Prevenire il decadimento cognitivo: una questione di stile di vita

Marta Cristofanini

Il declino cognitivo che accompagna l’insorgere della demenza colpisce la maggior parte delle volte i soggetti più anziani; tuttavia ciò non esclude l’eventualità di manifestazioni più precoci di una condizione con cui, al momento, bisogna imparare a convivere. La prevenzione anche attraverso uno stile di vita salutare e attivo rimane una delle difese più efficaci e alla portata di tutti.

Due anziani fanno attività fisica all'aperto

Dati alla mano

Prevenire il decadimento cognitivo è un obiettivo sanitario importante. L’OMS stima che siano circa 55 milioni le persone nel mondo colpite da demenza, prevedendo che nei prossimi trent’anni questo numero sarà triplicato. Ci si aspetta di arrivare a 78 milioni nel 2030, ed entro il 2050 si pronosticano 139 milioni di persone colpite. Circa il 60-70% dei casi è affetto dalla forma più comune di demenza, la malattia di Alzheimer.

In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità parla di 1 milione di persone affette, più 900 mila a cui è diagnosticata una condizione a rischio, conosciuta con il nome di deficit cognitivo isolato.

Si tratta di un’emergenza sanitaria globale che rappresenta una della cause primarie di perdita d’indipendenza nella popolazione anziana, con caratteristiche fortemente invalidanti e riconducibili a un decadimento cognitivo generale.

I sintomi del decadimento cognitivo

La demenza è nella sostanza un disturbo neurocognitivo, che può sfociare in diverse patologie, a seconda del quadro clinico del singolo individuo. La diagnosi precoce è uno strumento efficace per contrastarne e rallentarne gli effetti.

Le cause che portano a sviluppare queste diverse declinazioni della malattia sono molteplici mentre le sue manifestazioni sono generalmente ben riconoscibili.

Tutte infatti riguardano disturbi della memoria e dell’apprendimento: le persone che ne soffrono mostrano un atteggiamento disorientato e alterato rispetto alla normalità, per cui possono risultare compromesse – a seconda della gravità – le attività più basilari. Spesso sono alterate le abilità del linguaggio, la capacità di giudizio e di ragionamento astratto; si possono anche riscontrare sbalzi di umore e mutamenti della personalità.

La perdita dell’autonomia stravolge la vita non solo della persona colpita, ma anche quella di tutti coloro che ne fanno parte; l’assistenza continua infatti, con l’aggravarsi nel tempo della sintomatologia, diventa sempre più necessaria.

Cosa dicono gli esperti

Purtroppo, con le conoscenze che si hanno al momento, non esiste una cura definitiva contro il declino cognitivo. Esistono trattamenti di natura farmacologica, in grado di rallentarne la progressione e alleviarne i sintomi; inoltre, ci sono trattamenti non farmacologici che possono fornire un valido sostegno.

Si è sempre più diffusa infatti una cultura della prevenzione rispetto all’insorgere della malattia, culminata nel 2019 con la pubblicazione da parte dell’OMS di alcune linee guida per diminuire il rischio di declino cognitivo nella popolazione più anziana.

Eliminati alcuni fattori endogeni come la predisposizione genetica e la compresenza di altre malattie (come ad esempio il diabete e l’ipertensione), ci sono alcune strategie legate a uno stile di vita sano che possono contribuire a ridurre il rischio della sua insorgenza, e non di poco. Vediamone qualcuna insieme!

“Prevenire è curare”: dalle parole ai fatti

Salvaguardarsi attraverso uno stile di vita salutare e una dieta attenta per prevenire il decadimento cognitivo è un’ottima idea: ma come metterla in pratica?

Ecco le aree d’intervento suggerite dagli studiosi per una prevenzione efficace.

Stimolazione cognitiva

Un cervello allenato è un cervello in media più sano e più combattivo: benché non vi siano prove schiaccianti sul fatto che la stimolazione cognitiva protegga dal declino, alcuni studi dimostrano grazie ad essa un aumento innegabile della densità neuronale; inoltre, chi ha trascorso molti anni a studiare o a tenere la mente allenata risulta essere più protetto dal rischio di sviluppare la demenza.

Esercizio fisico

Mens sana in corpore sano: non si può avere l’una senza l’altro, per cui non resta che debellare la pigrizia; il movimento ha indubbi effetti neuroprotettivi e anche solo 30 minuti al giorno di esercizio possono fare la differenza!

L’esercizio fisico aerobico rimane quello più indicato, dal momento che tiene sotto controllo altre patologie che possono associarsi o addirittura favorire l’insorgere dei disturbi neurocognitivi, come l’ipertensione, le malattie cardiovascolari e il diabete.

Inoltre, l’esercizio fisico ha un impatto benefico sulla salute mentale, riducendo lo stress e contribuendo al controllo di eventuali stati depressivi. Non sono ancora chiare le cause, ma sembra esserci una forte relazione tra le due condizioni: chi soffre di depressione è più predisposto a sviluppare la demenza.

Attività sociale

La solitudine ha forti ripercussioni su tutti quegli aspetti che invece andrebbero tenuti sotto controllo, essendo fattori a rischio; la mancanza prolungata di socializzazione è correlata infatti alla depressione, all’obesità, al diabete, all’ipertensione, al cancro e all’abuso di alcool.

Anche per questo motivo sono preziose le attività ricreative dei centri diurni e dei circoli per anziani: attraverso una solida rete sociale e famigliare è più facile resistere al decadimento cognitivo.

Dieta mediterranea e restrizione calorica

Diverse ricerche condotte sul binomio alimentazione/prevenzione lo confermano: la dieta mediterranea è da sempre considerata la più salutare, dal momento che prevede l’impiego di alimenti considerati essenziali per prevenire il decadimento cognitivo.

Da sottolineare anche la validità della dieta asiatica; sostanze come il tè verde, la curcumina e il ginko-biloba sono note per i loro effetti anti-infiammatori e antiossidanti.

L’eccellenza della Fondazione Umberto Veronesi da sempre sostiene l’importanza dell’adozione di uno stile di vita salutare e di una dieta attenta.

Infatti una dieta povera di zuccheri semplici, sale, grassi e proteine animali protegge la rete neuronale; e un mezzo bicchiere di vino rosso non può fare che bene, visto che il consumo moderato è stato associato a una maggiore longevità. Per cui, viva i brindisi, ma con moderazione!

Una dieta contro l’Alzheimer?

Un esempio concreto riguarda la malattia neurodegenerativa più comune, il morbo di Alzheimer: su di questa sono stati fatti studi approfonditi su quali cibi siano più efficaci per contrastarla e prevenire così il decadimento cognitivo.

Importanti ricerche nell’ambito hanno dimostrato che la proteina beta-amiloide sembrerebbe essere una delle principali responsabili dell’insorgere della malattia, dal momento che, in generale, è associata ai problemi di memoria. Aggregati di questa proteina costituiscono le placche senili, la cui presenza è stata riscontrata nei cervelli delle persone affette da Alzheimer.

Per ridurne il tasso nel sangue, gli esperti consigliano alimenti ricchi di acidi grassi polinsaturi come l’omega-3; questi sono contenuti nel pesce, nella carne di pollo, nella frutta secca (noci, mandorle, nocciole) e, naturalmente, nella frutta e nella verdura, soprattutto insalata.

Uno studio recente ha tuttavia aggiornato la ricerca, dimostrando che soggetti con una diagnosi di disturbo cognitivo lieve (disturbo che spesso precede la comparsa vera e propria della malattia) accumulano in un secondo momento le tipiche placche amiloidi, invertendo parzialmente il rapporto di causa-effetto. Questi sviluppi potrebbero portare a nuove strategie curative.

Una coppia si rilassa con un bicchiere di vino

Un aiuto concreto dall’AI

L’utilizzo di avanzate tecniche di Intelligenza Artificiale ad uso diagnostico può aiutare nel rafforzamento delle attività preventive.

Grazie infatti all’impiego di algoritmi di Machine e Deep Learning allenati su grandissime quantità di dati resi disponibili dalle scannerizzazioni magnetiche dell’fMRI, è possibile elaborare diagnosi precoci, puntuali ed efficaci.

Battere sul tempo la manifestazione dei sintomi (da quelli più leggeri a quelli più gravi) è lo scudo migliore contro il decadimento cognitivo. Sapere in tempo significa elaborare un piano di prevenzione mirato e ragionato; conoscere in anticipo la tipologia e la velocità dello sviluppo della demenza significa procedere con trattamenti adeguati fin da subito e questo può fare decisamente la differenza.

Ma la tecnologia digitale e intelligente può venirci in aiuto non solo ai fini diagnostici; la casa come luogo primario di cura, specialmente nell’era post-covid, sta diventando il modello di riferimento primario.

L’utilizzo di dispositivi ambientali ad esempio possono rendere la casa e l’assistenza a distanza più sicure: monitorando il comportamento della persona è possibile segnalare situazioni a rischio o i cambiamenti significativi delle sue abitudini (di movimento, riposo, idratazione, sia sul piano temporale sia su quello spaziale).

Insomma, investire nella ricerca può sensibilmente migliorare le condizioni di vita e di cura delle persone affette.

Avere cura di sè

Il dibattito è ampio e ancora in corso, ma in questo contesto ci interessava soprattutto evidenziare la responsabilità che ciascuno di noi ha nei propri confronti, e nei confronti di chi ci sta a cuore.

Con una maggiore consapevolezza rispetto ai vantaggi di uno stile di vita sano e orientato alla prevenzione, saremo in grado di prenderci cura meglio di noi e degli altri, soprattutto in considerazione dell’età che avanza.

La prevenzione è la cura migliore, accompagnata da un’osservazione costante del proprio stato di salute, per notare con prontezza eventuali sintomi sospetti, e intervenire. In tempo.

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